In apertura di questo blog, ho detto che avrei parlato in modo semplice solo di cose positive, piene di speranza che mi accadono intorno. E, invece, eccomi qui a raccontare di due tragedie, diverse tra sè, ma accadute in meno di 24 ore nella mia Europa.
Scrivo Europa e non Spagna o Belgio per una ragione precisa: io sono nato e cresciuto , culturalmente parlando, tra la fine degli anni 90 e l'inizio del 2000, in un contesto in cui l'orizzonte armonico e felice era rappresentato dal processo di integrazione europea: dalla creazione di un'identità europea che nasceva dall'impollinazione di lingue, culture, religioni, visioni della vita diverse.
La mia generazione, per la prima volta dopo quella dei miei genitori, usciva con la mente e il pensiero dai confini regionali e nazionali e iniziava a sentirsi un po' cittadina di Dublino, Berlino, Stoccolma, Parigi o Madrid.
Abbiamo iniziato a scavalcare le frontiere linguistiche della lingua materna, scoprendo il fascino misterioso ed eccitante dei suoni delle altre lingue europee. Abbiamo iniziato a scambiare punti di vista sul mondo nei tavoli dei bar tedeschi con giovani di licei dell'altopalatinato (che prima non sapevo neanche esistere) , abbiamo parlato di problemi con i genitori, di politica, di letteratura, di musica e di poeti o presunti tali con ragazzi svedesi, francesi, scozzesi, irlandesi, davanti alle prime birre e sigarette, e a quel senso di felice onnipotenza che si respira a 20 anni.
"A 20 si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell'età".
Eppure ci sentivamo meravigliosamente europei. Quando tornavamo a casa e parlavamo ai genitori, figli del 68, (che ci guardavano con occhi troppo lontani) delle nostre avventure solitarie e collettive tra stazioni tedesche, scandinave, portoghesi , tra bratwurst , birre , piatti locali, pulmann notturni. Narrazioni continue, che diventavano quasi mitologiche, di pranzi a panini su treni dai cui finestrini guardavamo cambiare il paesaggio delle campagne europee, insieme a coetanei europei, sognando figli che parlavano fluentemente tre, quattro lingue. In quei frangenti non mi sono sentito italiano neanche per un secondo. Tutto si ibridava in me, in quel sogno magnifico senza più frontiere. Mai mi sono sentito europeo come allora.
Invece, appena ieri l'altro apprendo la notizia di una concittadina morta (insieme ad altre 13) in un tragico incidente in Erasmus, vicino a Terragona. Come in un deja-vu mi sono identificato nella vita mia di 15 anni fa. Eppure, siamo (la mia generazione) con quelle ragazze del 1994 passeggeri di treni paralleli, su binari montati a distanza di appena 15/20 anni.
Tutto insieme, davanti a quei pensieri, mi sono sentito pioniere, vecchio e terribilmente triste.
Stamattina mi sono alzato con gli attentati in Belgio, nel cuore del'Europa. Mi è sembrato per un istante che tutto quel mondo che la mia generazione aveva vissuto, amato, sognato e immaginato si stesse disintegrando sotto quelle bombe, nel sangue delle vittime innocenti. Nel rumore assordante che
cancella ogni armonia.
Ma ho detto che volevo parlare di speranza, non di morte e distruzione. Ed è con il messaggio di speranza che voglio finire queste righe. Non buttiamo via quello che abbiamo costruito. Per il bene delle generazioni che verranno, continuiamo a sognare un'europa libera, piena di scambi , così bella perché ibrida e senza frontiere.
Gli psicopatici, fanatici, islamisti deviati con due bombette e un po' di sangue non potranno soffocare mai tutta quella bellezza che abbiamo vissuto e che le generazioni future hanno il diritto di continuare a vivere.
Viva l'Europa dei popoli, viva la Libertà!
Scrivo Europa e non Spagna o Belgio per una ragione precisa: io sono nato e cresciuto , culturalmente parlando, tra la fine degli anni 90 e l'inizio del 2000, in un contesto in cui l'orizzonte armonico e felice era rappresentato dal processo di integrazione europea: dalla creazione di un'identità europea che nasceva dall'impollinazione di lingue, culture, religioni, visioni della vita diverse.
La mia generazione, per la prima volta dopo quella dei miei genitori, usciva con la mente e il pensiero dai confini regionali e nazionali e iniziava a sentirsi un po' cittadina di Dublino, Berlino, Stoccolma, Parigi o Madrid.
Abbiamo iniziato a scavalcare le frontiere linguistiche della lingua materna, scoprendo il fascino misterioso ed eccitante dei suoni delle altre lingue europee. Abbiamo iniziato a scambiare punti di vista sul mondo nei tavoli dei bar tedeschi con giovani di licei dell'altopalatinato (che prima non sapevo neanche esistere) , abbiamo parlato di problemi con i genitori, di politica, di letteratura, di musica e di poeti o presunti tali con ragazzi svedesi, francesi, scozzesi, irlandesi, davanti alle prime birre e sigarette, e a quel senso di felice onnipotenza che si respira a 20 anni.
"A 20 si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell'età".
Eppure ci sentivamo meravigliosamente europei. Quando tornavamo a casa e parlavamo ai genitori, figli del 68, (che ci guardavano con occhi troppo lontani) delle nostre avventure solitarie e collettive tra stazioni tedesche, scandinave, portoghesi , tra bratwurst , birre , piatti locali, pulmann notturni. Narrazioni continue, che diventavano quasi mitologiche, di pranzi a panini su treni dai cui finestrini guardavamo cambiare il paesaggio delle campagne europee, insieme a coetanei europei, sognando figli che parlavano fluentemente tre, quattro lingue. In quei frangenti non mi sono sentito italiano neanche per un secondo. Tutto si ibridava in me, in quel sogno magnifico senza più frontiere. Mai mi sono sentito europeo come allora.
Invece, appena ieri l'altro apprendo la notizia di una concittadina morta (insieme ad altre 13) in un tragico incidente in Erasmus, vicino a Terragona. Come in un deja-vu mi sono identificato nella vita mia di 15 anni fa. Eppure, siamo (la mia generazione) con quelle ragazze del 1994 passeggeri di treni paralleli, su binari montati a distanza di appena 15/20 anni.
Tutto insieme, davanti a quei pensieri, mi sono sentito pioniere, vecchio e terribilmente triste.
Stamattina mi sono alzato con gli attentati in Belgio, nel cuore del'Europa. Mi è sembrato per un istante che tutto quel mondo che la mia generazione aveva vissuto, amato, sognato e immaginato si stesse disintegrando sotto quelle bombe, nel sangue delle vittime innocenti. Nel rumore assordante che
cancella ogni armonia.
Ma ho detto che volevo parlare di speranza, non di morte e distruzione. Ed è con il messaggio di speranza che voglio finire queste righe. Non buttiamo via quello che abbiamo costruito. Per il bene delle generazioni che verranno, continuiamo a sognare un'europa libera, piena di scambi , così bella perché ibrida e senza frontiere.
Gli psicopatici, fanatici, islamisti deviati con due bombette e un po' di sangue non potranno soffocare mai tutta quella bellezza che abbiamo vissuto e che le generazioni future hanno il diritto di continuare a vivere.
Viva l'Europa dei popoli, viva la Libertà!
Commenti
Posta un commento