Nell'ultimo post, preelettorale, preso da follia divinatoria, come un fottuto oracolo di delfi qualsiasi, avevo profetizzato il tramonto del "centrosinistra", ormai trasformatosi in segno grafico senza significato. Oggi sono tra coloro che, pur avendo creduto in una miracolosa rinascita, credono fermamente che non tornerà più dalla morte. Perché né il ridicolo Calenda, né lo scafato Zingaretti possono rappresentare il benché minimo argine ad una rivoluzione di paradigma come quella iniziata con le politiche e terminata nelle ultime amministrative. Si badi bene, non credo che il cambio di paradigma dal centrsinistra di matrice post-prodiana, fatto di un universo segnico e simbolico preciso (Dossetti, La Pira, Berlinguer, Moro, la resistenza, il post-PCI, Ivano Fossati, un'industria culturale amica, gli editoriali di Repubblica, l'aristocrazia intellettuale, Nanni Moretti, i film neorelisti, le sfuriate televisive di Cacciari, i comici, i Benigni, un certo fran
Avevo scelto il silenzio alle troppe parole degli ultimi mesi. Non ritenevo necessario scrivere. Parafrasando Wittgestein, su ciò di cui non si può parlare, altrimenti si diventerebbe offensivi, meglio tacere. E il silenzio qui, al contrario di wittgestein, non riguarda l'essere, il chi siamo e perché viviamo, ma più banalmente l'atroce incapacità di generare una minima strategia del centrosinistra italiano. Se da un lato troviamo il populismo oligarchico renziano, dall'altro troviamo ancora troppi leader che come ventriloqui si parlano tra sè, in un dialogo tra sordi senza darsi la pena di coinvolgere il reale, cioè noi che leggiamo, che parliamo di politica, che ci interessa capire che fine farà questo mondo, avendo (pensa te che mattachioni) anche la presunzione di migliorarlo. Quanto al renzismo, lo ritengo un male attuale della nostra epoca. Come dicevo prima è una sorta di patologia acuta in grado di conciliare una visione oligarchica e conservatrice della so